Petrolio sotto pressione: tra dazi, surplus e ambizioni USA
- Filippo Sala

- 7 apr
- Tempo di lettura: 2 min
Come guerre commerciali e strategie geopolitiche ridisegnano il mercato del greggio
Il mercato del petrolio è in fermento, stretto tra dinamiche economiche e scelte politiche. I nuovi dazi imposti da Donald Trump hanno provocato una reazione decisa della Cina, che ha annunciato tariffe aggiuntive del 34% sui prodotti americani, alimentando i timori di una guerra commerciale globale.
Anche se petrolio, gas e derivati sono esclusi da queste misure, Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, prevede effetti indiretti: inflazione più alta e crescita economica rallentata, con possibili ripercussioni sui prezzi del greggio.

A complicare il quadro, l’OPEC+ ha rivisto i suoi piani, decidendo di aumentare la produzione a 411.000 barili al giorno già a maggio, contro i 135.000 bpd inizialmente previsti. Questo surplus globale, che JPMorgan stima in 1,3 milioni di bpd per il 2025, spinge i prezzi verso il basso. La banca prevede un Brent a 73 dollari al barile nel 2025, in calo a 61 dollari nel 2026, con il rischio di scendere fino a 50 dollari o meno se le condizioni persistono.
Dietro queste tendenze c’è anche la strategia dell’amministrazione Trump, che vede nei prezzi bassi del petrolio un’arma per contenere l’inflazione e raggiungere obiettivi geopolitici.
Figure chiave come il Segretario al Tesoro Scott Bessent e il Segretario all’Energia Chris Wright sostengono questa linea, disposti a tollerare difficoltà per il settore pur di centrare il target. Le previsioni di JPMorgan, con il primo trimestre 2025 a 74,98 dollari al barile, sono in linea con le stime, ma avvertono: prezzi troppo bassi potrebbero diventare insostenibili per alcuni produttori.
In questo intreccio di economia e politica, il petrolio resta un protagonista cruciale.














